mercoledì 30 agosto 2017

L'austerità fa male

Buongiorno Prof.

le rubo poco tempo per raccontarle una triste storia Canavesana.

Pochi giorni fa è morto in un incidente automobilistico un'imprenditore locale, molto conosciuto, appartenente ad una famiglia che da generazioni costruisce tra l'altro strade, ponti, gallerie. Il destino tragico e beffardo ha voluto che lo sfortunato ingegnere uscisse fuori strada nella notte forse a causa dell'alta velocità, ma probabilmente anche a causa di un pericoloso avvallamento che si era creato in quel punto circa tre mesi fa.

L'incidente è avvenuto sulla SS460 che collega il Canavese con Torino, strada molto frequentata ed in quel punto non illuminata, una Statale tristemente conosciuta per altri incidenti mortali avvenuti in vari punti negli anni scorsi.

Io quella strada la conosco bene, per anni l'ho percorsa quotidianamente per lavoro, ed ora la utilizzo almeno una volta a settimana; da quando si è creato l'avvallamento sono passate un paio di settimane prima che venisse segnalato il pericolo, quindi sono stati aggiunti dei cartelli di limite a 30km scarsamente segnalati, poi sono stati aggiunti dei segnali luminosi notturni e ridotto il dislivello con un intervento temporaneo: evidentemente non è bastato.

Con amici si commentava la situazione e si diceva che prima poi qualcuno sarebbe volato fuori strada. Ovviamente non avrei mai voluto avere questo personale tragico QED, ma è successo, ed è successo ad una persona che quella strada avrebbe potuto sistemarla se solo si fosse provveduto ad assegnare un appalto urgente visto il reale pericolo.

L'austerità uccide e non guarda in faccia nessuno, ditegli di smettere.

Cari saluti,


Un figlio di uno strumento minore



(...vabbè: l'austerità magari non c'entra: ora Serendippo e Yanez interverranno per convincercene - ma ve li risparmierò. Qui a Roma è tutta una buca. Abbiamo capito che un cartello con su scritto "30" costa meno di riparare le buche. In città va bene così. Forse in campagna un po' di meno. Fra ponti che crollano, foreste che bruciano, massicciate che si sbriciolano, il paese va in pezzi, e questo perché? Perché dobbiamo inchinarci al feticcio della moneta merce, di quella moneta il cui valore sarebbe determinato dalla scarsità, e che quindi lo Stato non deve essere in condizione di stampare, per evitare che governanti ansiosi di farsi rieleggere "stampino troppo", sgretolando non le massicciate, via incuria, ma i risparmi, via inflazione. Poi magari un giorno vi spiego perché la moneta non è una merce, e magari anche cos'è, a chi non l'avesse capito. Intanto vi faccio osservare che mentre ci stiamo fumando le foreste di uno dei Parchi nazionali più importanti d'Europa perché lo Stato non può permettersi i Canadair - ma può permettersi di noleggiarli dai privati - succede che il banchiere centrale che non doveva stampare ha stampato quasi 2000 miliardi di euro, e il risultato qual è stato? Che l'inflazione è troppo bassa, e l'euro, quella valuta che doveva proteggerci con la sua forza, ci sta mettendo in difficoltà perché è troppo forte nonostante ce ne sia così tanta in giro! Tant'è che i giornalisti di regime, il cui nome non voglio scrivere per non contaminare queste pagine, fanno l'elogio di Draghi che era riuscito a svalutarlo (!) - senza capacitarsi del perché ora non gli riesca più, e senza spiegarci perché quello che secondo loro per l'Italia era una droga pericolosa, cioè la svalutazione, non lo sarebbe più quando la fa Draghi, che ora - sarà l'età - appare completamente impotente! Si capisce che il racconto del regime non sta in piedi, vero? Eppure quanti imprenditori non riescono a rendersi conto delle sue contraddizioni, e, senza esserne consapevoli, si scavano la fossa, invocando più austerità, quindi meno investimenti pubblici, quindi meno clienti per le loro aziende... Lo "Stato ladro" sta agli imprenditori, come "l'inflazzzzione che erode i salari" sta ai sindacalisti. Dio li fa e l'euro li accoppa. Potremmo farcene una ragione. Siamo qui perché non ci riusciamo. Anche loro sono Italia...)

martedì 29 agosto 2017

QED 82: Santo (massimo) subito!

Nel post precedente vi esortavo a non assumere atteggiamenti inopportuni (fastidiosamente polemici, o peggio ancora biecamente offensivi) con i nostri agonizzanti avversari politici, che si stanno spegnendo non serenamente e non lentamente. I motivi della loro ributtante agonia sono tanti, e in effetti questo blog è una articolata spiegazione di un fenomeno che quindi per voi non ha segreti. Vi farà piacere però vederlo espresso in questa formulazione particolarmente sintetica:


Le solite malelingue dicono che questo collega abbia qualche difficoltà a rendersi conto del fatto che la moneta non è una merce ma un'istituzione, e in effetti di sue esternazioni sull'euro non me ne sono giunte (non siamo in tanti a farne, il paese è piccolo, e se la gente non mormora... significa che non c'è da mormorare!). Qualora fosse così, lui non starebbe con il 97%, ma con il 99,9% degli italiani, e con il 100% dei suoi colleghi (non abbiamo mai parlato - o meglio: Celso ci ha provato - della piddinitas degli storici), quindi non mi sembra il caso di sottilizzare troppo! Contro la legge dei grandi numeri non c'è Poisson che tenga. Ove mai questo trascurabile "lieve limite" analitico condizionasse la sua lettura della realtà, resterebbe il dato che la sua (facile) profezia è esposta nel numero perfetto di righe: tre, e in un linguaggio molto incisivo.

Il discepolo di Etarcos, il piddino, sa di sapere, e sa, in diretta conseguenza di questo assunto, di essere migliore degli altri. Invece è una povera buccia di uomo che il capitale ha sputato, dopo averla svuotata di umanità, di empatia, di amore per il prossimo, quest'ultimo sostituito da massicce dosi di amore per il distante, purché, rigorosamente, a spese altrui (la casa da occupare è sempre quella del vicino: vogliamo aprire il capitolo del NIMBY umanitario?). "Suprematismo morale": questo è. Bravo Santomassimo! Dobbiamo ringraziare chi lo dice (ci vuole coraggio), e chi ne analizza così lucidamente le conseguenze.

Amen.





















































...ma... e il QED?






















































Bè: il QED è questo!

Poveri piddini... Si consolano dicendosi che se non riescono a trovar cuochi è perché in riviera c'è troppo lavoro... Se fosse così, tranquilli: dopo che lo stupro, opportunamente enfatizzato dalle agenzie di stampa italiane (?), ha distrutto il turismo a Rimini, a rigor di logica l'anno prossimo i cuochi dovreste averli. Invece non li avrete: perché chi rimarrà disoccupato, saprà che la colpa è vostra: saprà, o comunque intuirà, che il suo posto di lavoro è stato distrutto o dall'incontrollata mobilità del capitale, o dall'incontrollata mobilità del lavoro, o da entrambe, cioè da voi, e tutto quello che vorrà fare è presentarvene il conto alle elezioni: certo non venire a fare il "volontario" alle vostre agapi fraterne...

Addio, piadine sorgenti dal lambrusco...

lunedì 28 agosto 2017

State calmi!

Sto trasecolando.

Il sistema di potere che ci opprime, che ha scatenato contro di noi la potenza distruttiva della libertà incontrollata dei capitali, collassa sotto ai nostri occhi per aver promosso, con gli stessi fini di deflazione salariale, un'altrettanto incontrollata (e formalmente illegale) mobilità del lavoro. Chiedendo venia per il cinismo, e con un pensiero alle vere vittime di questa spregiudicata manovra tattica, cioè ai rifugiati (quelli tipizzati dalla Convenzione di Ginevra del 1951), vorrei capire perché, proprio nel momento in cui il sistema commette un errore che si sta rivelando fatale per lui, dovremmo cominciare a beccarci fra noi, o ad assumere atteggiamenti che legittimino quello che il potere desidera: dare un giro di vite definitivo alla nostra libertà di espressione.

A differenza di quello prodotto dall'euro, il dumping prodotto dall'immigrazione incontrollata è palpabile e sta aprendo gli occhi a tutti. Quasi nessuno (anche qui) capisce la differenza fra svalutazione e inflazione: chi lo aveva avuto in sorte ha capito che qui c'era un pezzo di verità, ma quanto ad aver capito quale verità fosse, sarà meglio che sorvoliamo (e non parlo solo della nostra cara Nat)... Tuttavia, la differenza fra lavorare o trovarsi a spasso, o quella fra tornare a casa intero o a pezzi, la capiscono tutti, giusto? Enfatizzarla, o augurare a chi non l'ha ancora capita di trovarsi un esempio in casa, è sostanzialmente superfluo, oltre che inumano (se interessa).

I fatti hanno la testa dura e lavorano per noi a un ritmo accelerato.

Lasciate serenamente che il potere gestisca il tremendo disastro che ha creato: fallaciare, goffredodibuglioneggiare, non serve a nulla, e quindi fa (molto) danno. Lasciate spiegare al potere perché ad Amatrice ci sono ancora le macerie. Lasciate chiarire a lui perché la disoccupazione è ai livelli che abbiamo commentato. Lasciate che le ONG si palesino sempre di più per quei comitati di affari del grande capitale estero che oggettivamente sono. Lasciate che la gente capisca cos'è la sovranità popolare rendendosi conto che organizzazioni private non particolarmente trasparenti si sono prese la briga di decidere la politica migratoria (e quindi quella del mercato del lavoro, e in genere quella sociale) di un paese libero (in teoria) e democratico (in teoria). E, soprattutto, lasciate che i giornali continuino ad avvilupparsi nelle loro menzogne. Lasciategli spiegare perché il canale di Sicilia si è spostato nelle acque territoriali libiche. Laggente non capiscono, ma forse si renderanno conto con un certo sbalordimento che ora siamo tutti preoccupati dall'eccessiva forza della moneta che ci avrebbe protetto perché era forte, no?

Qualche analogia la farà, qualcuno, o no? E credete che le vendite di menzogne ne risentano positivamente o negativamente?

I nostri avversari stanno facendo tutto da soli. Il PD è al capolinea. Perfino la Boldrini ha dovuto ritrattare su Twitter. Chi l'ha messa lì si sta mangiando le mani. I sondaggi devono essere non pessimi: tremendi. Tanto tremendi, da farmi temere che il potere giochi l'ultima carta a sua disposizione per coagulare un brandello di consenso attorno alla propria immagine ormai irrimediabilmente usurata. Voi dovete solo stare calmi, e magari evitare luoghi troppo affollati. Lo so che è difficile. Vincere è difficile, anche quando si ha dalla propria la storia, perché vincere se stessi è difficilissimo.

Dovete farlo, o starmi lontano. Chi non ha capito, capirà, e lo farà molto presto.

Quindi: state calmi.

Fine della trasmissione.

domenica 27 agosto 2017

Dagli Appennini all'Atlante: propaganda, cambio e autorazzismo

Come sapete, uno dei temi portanti della mia ricerca, forse il più rilevante in chiave di riflessione politica, è l'indagine sulle cause dell'autorazzismo: quella porca rogna italiana di autodenigrarsi, autentico cancro che corrode la nostra capacità di elaborare strategie coerenti sia sul piano interno, che su quello internazionale. Ci ho scritto un libro (L'Italia può farcela), ne ho discusso qui con voi, a lungo, senza giungere a conclusioni definite. D'altra parte, un fenomeno così devastante non ci si può aspettare che abbia un'unica causa: più facile che abbia molte concause. Col passare del tempo, visto anche la particolare pervicacia dello schieramento progressista nell'aggredire indiscriminatamente gli italiani tout court (inclusa quindi quella maggioranza di lavoratori che i progressisti pretendono di tutelare), mi ero fatto un'idea su quale potesse essere la causa prevalente. L'Italia, va detto, è uno strano paese: il paese in cui una parte degli abitanti si gloria di aver vinto una guerra che in effetti il paese ha perso (sì, parlo della Seconda Guerra Mondiale). Ora, è chiaro che questa mitologia (oggi si dice "narraFFione") non può sostenersi che sulla asserita superiorità etnica dei vincitori rispetto al resto della popolazione, gli sconfitti. D'altra parte, i pretesi vincitori erano partiti bene, dando dei "mandolinisti" alla compagine nazionale. Come volete che finisse?

Questa spiegazione credo abbia una parte di verità, e ve lo dice uno nato e cresciuto nel mito della Resistenza (cioè della vittoria di una guerra persa).

Ora, immagino l'indignazione di molti: "Che bestemmia in cattedrale! Proprio quello che ci si può aspettare da un rossobruno fasciopopulista nazionalxenofoboleghista come Bagnai!" Eh, che ci vuoi fare: purtroppo noi qui siamo così. Tanto nazionalisti siamo, e tanto chiusi e provinciali, che noi, a differenza degli europeisti (quei personaggetti che in giro per l'Europa cercano gli spaghetti lamentandosi perché sono scotti...), un'idea di cosa accada nel resto del mondo ce l'abbiamo. Ve ne fornisco subito un esempio, regalatomi da "uno de passaggio", uno dei (troppo pochi) imprenditori fasconazionalxenofobichiusiallaglobalizzazione che ci frequentano e ci sostengono, e che ho recentemente incontrato in una delle sue rare apparizioni sul territorio nazionale (esporta in qualche decina di paesi dall'Ecuador alla Tailandia, e se li gira regolarmente tutti: lui, quando parla del resto del mondo, sa di cosa parla, a differenza dei gazzettieri...).

Di ritorno dal Marocco, "uno de passaggio" mi ha fornito una copia del locale Sole 24 Ore: in Marocco si chiama L'Economiste. Poche pagine che mi hanno aperto un mondo di riflessioni.



Parto da un giudizio complessivo: il giornale è scritto bene, in un eccellente francese, con una qualità, in termini di competenza e di argomentazioni, che qui da noi ci sogniamo (potrete apprezzarla anche voi fra breve). In questo senso, il livello della nostra stampa specializzata è decisamente inferiore a quello della corrispondente stampa marocchina: documentato, fattuale, ma anche esplicito nel fornire la propria legittima linea editoriale correttamente individuandola come tale, fra L'Economiste e i nostri quotidiani "economici" è impossibile non percepire un solco profondo, un differenziale culturale e antropologico che, ahimè, dobbiamo registrare a nostro svantaggio, o meglio: a svantaggio di chi qui pretende di informarci. Certo, per percepirlo bisogna sapere la lingua: bisogna, insomma, essere europei e non europeisti.

Questa è una grande differenza, ma... ci sono anche analogie!

Prendiamo ad esempio l'editoriale: "Aggiramento" (contournement). Nadia Salah (è parente?) commenta il parere delle organizzazioni multilaterali sull'economia marocchina. I loro rapporti, dice, sono delle autorevoli tabelle di marcia (ormai in italiano si dice roadmap), utili perché la Costituzione, che ha affidato ai partiti la maggiore responsabilità nella guida del paese, non si è ugualmente preoccupata di potenziare le loro competenze economiche:


Quindi, dice Nadia, le organizzazioni internazionali servono ad aggirare l'incapacità e le resistenze dei corpi intermedi (partiti e sindacati). "L'aggiramento, un tratto della cultura politica marocchina...".

Attacco alla Costituzione, elogio del vincolo esterno, autorazzismo... Tutto il mondo è paese, viene da dire. Non so se anche una parte dei marocchini pensi di aver vinto una guerra che il Marocco ha perso (non so nemmeno se il Marocco abbia perso una guerra). Mi è allora venuto in mente che forse l'autorazzismo, che troviamo anche a quelle latitudini, possa avere un motivo più semplice e più generale. Vedete? Lì, come qui, un giornale dei padroni attacca il popolo denigrandone la "cultura politica", allo scopo esplicito di delegittimare i sindacati e i partiti come "ignoranti", e di imporre soluzioni elaborate in un circuito "tecnico" sovranazionale, sottratto allo scrutinio democratico ma non indipendente da interessi e collusioni con le élite locali (quelle che pagano certa stampa).

Mi viene quindi da pensare che l'autorazzismo sia la norma nei sistemi più o meno "democratici", quelli in cui chi governa deve comunque, per mantenersi al potere, strizzare l'occhio alla maggioranza concedendole qualcosa. Questo qualcosa è sempre troppo per i pochi che controllano l'economia e quindi i media: ne consegue che i media sono istruiti ad attaccare la classe politica e ad addossare all'intera compagine nazionale la colpa di voler praticare il principio di autodeterminazione. Ovunque nel mondo lo scopo principale dei media è spiegare ai cittadini che questi non possono permettersi di esprimere un governo, perché non ne sono in grado, e che quindi non bisogna disturbare il manovratore sovranazionale.

Visto in questa ottica, rivedo la mia impressione (condivisa peraltro da Dominick Salvatore) sull'anomalo autorazzismo italiano. In effetti, in un mondo nel quale l'estetica della democrazia esige che la vittima voti il proprio carnefice, i media devono insufflare autorazzismo nei dominati, e l'autorazzismo diventa quindi la regola, non l'eccezione. Eccezione la fanno i paesi che ne sono (per ora) privi, come la Francia, e sono eccezioni spiegabili con il percorso storico di questi paesi: grandi potenze coloniali, che l'agenda la dettano (via bombardamenti, o ONG, o entrambi) e non la subiscono.

Riflessione che possiamo consolidare addentrandoci nelle pagine de L'Economiste, il quale riferisce degli esiti di una missione del Fmi. E chi è il misso dominico? Tal Nicolas Blancher. Che strano, vero? Con tutti gli indonesiani, i canadesi, i giapponesi, gli americani, gli ugandesi che hanno a disposizione, il Fmi a guida francese chi ti estrae dal cilindro per guidare una missione in un ex protettorato francese? Un samoiedo? Uno uiguro? No: un francese. Certo che il mondo della finanza è creativo solo quando si tratta di scaricare su di noi il rischio creato da lui. Nelle altre scelte è di un prevedibile, ma di un prevedibile...


Ora, sarete forse sorpresi (o forse no) di sapere che la questione dibattuta in Marocco è il passaggio del dirham a un regime di cambio flessibile. Sì, perché anche se non fa parte delle ex colonie francesi d'Africa (quelle cui venne e viene imposto il franco CFA, come sapete), in quanto (ex?) protettorato il Marocco ha avuto diritto al suo bell'aggancio valutario. Ovviamente, con l'euro, a una parità attorno agli 11 dirham per euro, come vedete qui:


il che significa, ovviamente, che rispetto al dollaro il dirham ha seguito le vicissitudini dell'euro, indipendentemente dal fatto che questo gli convenisse o meno (cosa sulla quale non mi soffermo).

Certo, ora qualcuno tanto contento non deve più esserlo (non so se a Washington, a Parigi o a Rabat), tant'è vero che si sta parlando di lasciar fluttuare il cambio. Più dell'analisi macroeconomica, mi interessa farvi vedere in che modo questa proposta viene presentata ai marocchini, e quali sono le conseguenze che il Fmi prevede.

Sul modo in cui la flessibilità viene proposta, è esplicito l'occhiello dell'articolo: "Lasciar evolvere il cambio più liberamente è segno di capacità di assorbire shock esterni e di stabilità".


Ecco: chi conosce il Pedante non avrà difficoltà a riconoscere in questo il modulo comunicativo del #chicelafa. Le decisioni del potere vengono presentate sempre e comunque ai sottoposti come sfida, come obiettivo che solo i migliori possono permettersi di raggiungere. Sarebbe divertente e istruttivo vedere come e perché a noi viene presentata come sfida, come prova iniziatica per assurgere al consesso dei grandi, il cambio rigido (sotto forma di moneta unica), mentre ai marocchini viene presentato esattamente negli stessi termini il cambio flessibile. Qui mi interessa solo sottolineare due cose: che la strategia comunicativa è sempre la stessa (e il suo simpatico corollario è che così il Fmi si porta avanti col lavoro in caso di fallimento: se poi non funziona, potrà dire ai marocchini che la colpa era loro, esattamente come ha fatto con i greci), e che applicata in contesti diversi questa strategia obbliga gli espertoni di turno a dire cose diametralmente opposte (da noi che la stabilità è un portato del cambio rigido, e in Marocco che la stabilità sarebbe assicurata dal cambio flessibile).

Quindi? Quindi le organizzazioni multilaterali tutto sono tranne che organismi tecnici. Sono, come le ONG, strumenti per imporre un'agenda politica maturata al di fuori di un processo democratico, agenda che trae la propria legittimità dalla denigrazione del popolo che deve subirla (osservate che bel lavoro di comunicazione stanno facendo Unicef, MSF, ecc.).

"Uno de passaggio" attirava la mia attenzione su questo passaggio esilarante. Il giornalista chiede al pretoriano del capitale finanziario: "Neno, scusa, dimme, noi se semo fumati 38 mijardi de riserve in du' mesi, e li prezzi de 'e materie prime stanno a cresce. Sei sicuro che sta flessibbilità se la potemio permette?"


E l'ineffabile espertone: "Certo, l'economia marocchina dipende fortemente dalle importazioni di petrolio e dalle fluttuazioni del prezzo del barile. La crescita dei prezzi nel 2012 e nel 2014 ha lasciato tracce nelle finanze pubbliche. Ma tipicamente sono shock di questo genere che una accresciuta flessibilità permetterebbe di assorbire meglio".

Come come come?

Cosa cosa cosa?

Prima mi fai il "materieprimista" come un Oscaretto qualsiasi, e poi cosa mi dici? Che se un paese dipende dalle materie prime, è la flessibilità, non la rigidità del cambio, che può proteggerlo?

Una logica, come sapete, c'è, ed è contenuta nella frase sibillina che chiude la risposta: "Prevediamo che le esportazioni continuino a diversificarsi". In altre parole, se le materie prime costano di più, quello che ti salva è guadagnare di più con le esportazioni (per poter saldare la bolletta energetica), non "pompare" il valore della tua moneta nel tentativo di pagare di meno il petrolio, distruggendo però il reddito delle tue imprese esportatrici (che col "dirhamone" forte smetterebbero di esportare).

Resta da capire come mai questa ricetta il Fmi vada a proporla a un paese la cui base industriale deve ancora diversificarsi, e non la propone a un paese come il nostro, che ha già una base industriale diversificata. Io un'idea del perché lo faccia ce l'ho, e ce l'avete anche voi. Oggi ci siamo piacevolmente intrattenuti sul come fa a farcelo accettare: con la complicità dei media che preferiscono fallire piuttosto che smettere di inondarci di fango.

Concludo con un grande classico del giornalismo (e di quel covo di influencer privi di responsabilità politica e fiscale che è l'OCSE): acoruzzzzione! Riferendo del rapporto dell'OCSE, L'Economiste ci informa che se la crescita è solo (!) al 4%, anziché al 7% che sarebbe necessario lì (come qui) per rianimare l'occupazione, la colpa di che cosa è?


Ma è ovvio: della corruzione!

Io ne ho anche abbastanza di questi tetri Eichman che mentre ti impongono le loro ricette quasi sempre sbagliate invariantemente ti insultano per sottrarsi preventivamente alle responsabilità dei loro prevedibili fallimenti.

E voi?

Ecco, se ne avete abbastanza, sappiate che non potete fare molto, ma qualcosa sì: una piccola cosa che potreste e dovreste fare è votare questo sito come miglior sito politico-d'opinione ai Macchia Nera Award 2017 (seguendo bene le istruzioni), per il semplice motivo che quello che trovate qui, non lo trovate da nessuna altra parte, e che questo semplice gesto può portare qui altre persone...

mercoledì 23 agosto 2017

La coppia che visse tre volte (con due euro al giorno)

Ci siamo dovuti occupare spesso, su questo blog, dell'esiguo spessore deontologico ed etico del giornalismo italiano. Certo, la missione del giornalista non è facile da valutare perché in primo luogo non è facile da definire. Basta osservare che la frase abitualmente impiegata per descriverla ("fornire i fatti separati dalle opinioni") ha un contenuto normativo pari a zero (cioè, in soldoni, non significa un bel niente). Questo perché presuppone una oggettività, una esogenità, del "fatto", oggettività che nella sfera storica e politica non può esistere (ai sempliciotti che volessero improvvisarsi epistemologi, esibendosi in affrettate gerarchizzazioni fra scienze, mi limito a rivelare che da qualche tempo, anche in fisica, si è giunti alla conclusione che...).

I fatti sono come e in quanto li vediamo e li raccontiamo, e fino a qui non ci sarebbe nulla di male purché gli interessi di chi li racconta, sia esso un Lascienziato o un gazzettiere, fossero esposti in modo trasparente, e i cittadini venissero educati a tenerne conto in modo critico.

Ma, come sappiamo, e come la vicenda dell'euro ha reso evidente a molti di noi (a me per primo), non è così. A una stampa che racconti, sia pure in modo inevitabilmente condizionato da (legittimi) interessi, la realtà, non crede più nessuno. Quella che i giornali fanno ormai non è più nemmeno cronaca: è sempre e comunque favoletta morale, scritta per lo più in modo sciatto, e su un canovaccio tanto obbligato, quanto povero di contenuti. Così, i giornali agonizzano, a mano a mano che si palesa la loro vera missione: riscrivere la storia, e imporre ai cittadini indirizzi politici maturati al di fuori di una normale dialettica democratica.

Una conferma più esilarante ce la dà questo articolo di un nostro vecchio amico, quel bufalaro del Corriere della Sera (sì, quello della disoccupazione "come nel 1977", o dei tassi che "schizzarono" dopo la svalutazione del 1992). Si tratta dell'edificante storia di una coppia che riesce a vivere con due euro al giorno, per cui «poco importa se lo stipendio arriva a mesi alterni, per vivere bene, aiutando anche l’ambiente, basta sapersi arrangiare» (dall'occhiello dell'articolo, che, come sappiamo, è la parte più importante - perché, un po' come l'abstract dei peiper pirreviùd, è l'unica cosa che verrà letta).

Non si può che concordare con la sconsolata esegesi del Pedante: "Stanno distruggendo tutto".

Al di là delle scelte soggettive di questa coppia dal viso pulito e dal sorriso accogliente, che percepiamo molto unita, e cui auguriamo ogni bene, è evidente l'intenzione oggettiva di questo quotidiano del capitale: proporre la deflazione dei salari, e perfino la loro intermittenza, come un modello positivo, virtuoso, cui "chi ce la fa" riesce ad adattarsi, con benefici per la salute e per l'ambiente. Un'operazione quindi chiaramente, apertamente ideologica, condotta da adamantini capitalisti che disinteressatamente esortano i lavoratori a farsi pagare di meno, perché i propri profitti crescano. Ora, io, che sono nato fra i privilegiati (e comunque ne conosco molti che mi sostengono), potrei anche farmici una bella risata sopra: "Ma certo, povery, vivete pure, voi, con due euro al mese, così camperete a lungo (tanto la pensione in un modo o nell'altro riusciremo a non pagarvela), e poi non ci inquinerete l'ambiente, a noi ricchi, che siamo pochi ma buoni". C'è solo un problemino: se con 1,30 euro ottieni un sapone da barba che dura 18 mesi, diciamo che chi ti vendeva la schiuma da barba può tranquillamente chiudere, no? Risparmio altri esempi (li trovate nell'articolo), e mi limito a formulare, sotto forma di slogan, un normale corollario della logica economica: "Chi si deflaziona, deflaziona anche te: digli di smettere"! Ora, per quanto interesse io possa avere verso la limpidezza dell'aria e dell'acqua, e per quanto un miope interesse di classe possa spingermi a incoraggiare i povery sulla strada della morigeratezza, purtroppo io so che alla fine di questa catena di deflazioni si trovano appunto molti amici che mi sostengono, e un po' più a valle ci sono io: quindi, come dire, certi precetti mi vedono un po' scettico (non per altro, ma perché so che alla fine ci scapiterei...).

(...apro e chiudo una parentesi: Roberto, il marito, con il suo sguardo sognante è un ottimo testimonial della deflazione (quanta serenità, quanta profondità...), ma (se posso) con la sua barba non perfettamente rasata (che gli dona, peraltro), non è esattamente un buon testimonial del sapone da 1,30 euro...)

So che non avete orecchio musicale (e infatti votaste per il re cancelletto), ma forse, se vi ci sbatto delicatamente il musetto, come si fa coi cuccioli, noterete questa avvincente e rivelatrice contraddizione nel racconto del capitale: da un lato ci esalta la globalizzazione, prescrivendoci di aprirci ad essa in ogni possibile modo (dal mangiare fragole spagnole in dicembre all'importare indiscriminatamente forza lavoro quando U6 è sopra il 30%), dall'altro, però, visto che se la fragola la compri in Spagna l'italiano non guadagna (fa rima), e che se lavora gratis l'immigrato, l'italiano è fuori mercato (rifà rima), il capitale, per tenerci buoni, deve anche proporci come modello virtuoso l'economia curtense di sussistenza: quella dalla quale è bandito il superfluo (la fragola a dicembre) perché non vogliono darci il necessario (lo stipendio ogni mese), quella in cui la fitta rete di scambi welfare enhancing, che sfruttano vantaggi comparati di ricardiana memoria, improvvisamente, come per magia, come in qualche paradossale teorema matematico, collassa in un insieme di misura di Lebesgue nulla, converge all'origine degli assi, al punto del "chilometro zero"!

Bello, no?

Suppongo che non l'aveste notato: ma qualcosa dovrò pur fare per giustificare la mia esistenza:

quel che l'uom vede, il merdia fa invisibile,
e l'invisibil fa vedere goofy.

Ma torniamo ai nostri amici. Non c'è voluto molto a capire che in realtà il Corriere aveva commesso qualche lieve imprecisione (natura non facit saltus): @Corvonero75, su Twitter, ci riferiva che l'autore dell'articolo aveva peccato non in parole, non in opere (o per lo meno non lo sappiamo), ma certamente in omissioni. Mancava un dettagliuccio: la coppia di nostri amici, nonostante la propria radicale scelta di vita, non campa con uno stipendio a mesi alterni, e, soprattutto, non era del tutto esatto presentare la loro storia come un racconto fatto al Corriere. Era infatti stato già fatto, qualche mese prima, dalla stampa locale, che aveva riportato qualche altro dettaglio. Dietro tanta serenità c'era non solo questa regressione allo stato di Natura, ma anche un paio di istituzioni: lo Stato (erogatore di una pensione di invalidità), e la Famiglia (a copertura di una parte del mutuo). Messa così la storia già suona in modo diverso. Siamo partiti dal racconto di due persone che vivevano con sessanta euro al mese, per arrivare al racconto di due persone che di euro ne hanno a disposizione un po' di più...

Come si dice: il gazzettiere sta nei dettagli.

Ma non è finita qui. Mi scrive uno de passaggio (che ci ha scritto spesso, per lo più parlandoci degli esotici paesi che frequenta per vendere la sua paccottiglia italiana):

Scusa Alberto, 
prima di dormire ho dato la consueta "letta" al tuoi tweets e sono venuto a conoscenza dell'articolo del Corriere che parla della coppia che vivrebbe con 2 € al giorno. 
Ho visto anche che hai ri-twittato il tuo lettore Minuteman che cita Corvonero, che a sua volta riporta un articolo di fine marzo di quest'anno che parla della medesima coppia. 
Hanno fatto notare che il Corriere ha omesso la parte in cui la coppia dichiara di ricevere una pensione di invalidità per la signora che è non udente e un aiuto a pagare il mutuo da parte dei genitori di lei.
Ora il punto è che il medesimo articolo era stato pubblicato oltre 2 anni fa dal Fatto Quotidiano.
Si dà quindi il caso che il Corriere non solo ricicli una "notizia" vecchia di più di 2 anni, non solo sbagli l'età dei protagonisti (che se due anni fa era di 37 lui e 35 lei, ora non può essere di 46 lui e 38 lei) ma, come già evidenziato dai tuoi lettori, ometta anche l'unica parte che può far capire che i due disgraziati in questione non abbiano mentito e che di fatto sopravvivano grazie all'aiuto dello Stato e dei genitori. 
Mi sembra che vi siano tutti i presupposti per evidenziare l'estrema superficialità di chi pubblica "notizie" di questo genere in questo modo.
Se non fosse un tema che attira un 'attenzione relativa (sopratutto ri-pubblicato in agosto) il Corriere meriterebbe una richiesta di rettifica (come quella della famosa disoccupazione del '77) 

Buona notte

Uno de passaggio


Io non sarei così drastico! Alla fine, questo modo di fare informazione è sempre un boomerang: decisamente, questa notizia la preferisco così, senza rettifica! Cosa è riuscito, infatti, a farci capire il Corriere? Che vivendo "con due euro al giorno" si invecchia prima. Se dobbiamo credere ai giornali, infatti, il nostro amico Roberto in due anni è invecchiato di nove anni. Non credo ci sia migliore dimostrazione del fatto che sia meglio cercare di vivere con qualche decina di euro al giorno, anche se questo non fa piacere a chi deve darceli in cambio del nostro lavoro: cioè ai padroni dei giornali che riportano simili notizie fresche!


Eh, insomma, come ci siamo detti più volte (quasi sempre con autentico rispetto): il mestiere del giornalista è difficile, anche perché, come ci siamo detti oggi, è piuttosto difficile (almeno, da Heisenberg in poi) definire cosa sia o cosa debba essere. Certo però che se per renderlo facile l'unica cosa che vi viene in mente è quello che una volta si sarebbe chiamato plagio, dovrete rassegnarvi a cadere sempre più in basso nella stima dei lettori. E se, peggio ancora, il plagiato non se ne avvede, e si mostra sostanzialmente acquiescente rispetto a un'operazione di questo tipo, rischia di animare le ipotesi complottistiche di chi vede il sistema dei media come una macchina asservita a un'unica Centrale Del Male, che le fornisce i messaggi da insufflare nei cittadini. Non credo sia esattamente così: certo, le veline girano (e questo mi sembra il tipico caso), ma nella maggior parte dei casi tutto si spiega con un po' di conformismo, un po' di faciloneria, la certezza di essere una casta omertosa e sostanzialmente impunita (un giornalista non può permettersi di distanziarsi dal modus operandi di un collega, mentre può permettersi di emettere sentenze senza processo - cosa che non è consentita nemmeno a un magistrato!), e soprattutto con un generalizzato sentimento che tanto i lettori sono (siamo) una massa di imbecilli cui si può dare a bere qualsiasi cosa (sentimento già analizzato qui).

Ora, con tutto l'affetto ed il rispetto: alle radici della nostra cultura c'è, fra tante altre cose, un certo verso ("amor, ch'a nullo amato amar perdona"), il cui senso è, più meno, che i sentimenti veri riescono a trovare corrispondenza, a farsi ricambiare. Devo dire che il disprezzo per i lettori che i giornalisti dimostrano con certe operazioni di spin è così autentico, che non mi stupirei se esso, come ogni sentimento vero e travolgente, fosse anche profondamente ricambiato.

E visto che abbiamo parafrasato Ariosto, e citato Dante, mettiamoci anche un poeta un po' di nicchia, Lorenzo de Medici:

Cogli la rosa o ninfa or ch'è il bel tempo.

In altre parole, cari amici che ci "informate" così: godetevela finché dura. Prima o poi qualcuno capirà che un certo modo di fare informazione inquina la democrazia: e così come voi oggi ci dite che per inquinare meno i fiumi dovremmo vivere con due euro al giorno, qualcuno farà una legge sull'editoria un po' diversa da quella attuale, dove per inquinare meno la democrazia si chieda a voi di vivere con due euro al giorno. Temo che finirà così: l'indignazione verso certe palesi strategie di condizionamento è difficile da contenere, e come recenti vicende dimostrano, quando una corda viene tirata troppo, poi si usura, e i governi devono cedere di fronte alle sconfitte elettorali. Se una scoppoletta ha fatto spostare il canale di Sicilia in Libia, una scoppolona potrebbe far rivedere agli italiani l'idea che per essere presi in giro debbano metterci non solo l'euretto e spicci che spendono quando vogliono acquistare un giornale, ma anche il pozzo di soldi che ci mettono contro la propria volontà.

Non vorrei farvelo pesare, ma se i miei lettori crescono e i vostri calano è perché quello che prevedo qui, di solito, accade.

Good night, and good luck...

U6: i dati

L'articolo sulla disoccupazione corretta in Italia, scritto per il Fatto Quotidiano su sollecitazione di Marco Palombi a seguito di questo post, ha avuto molto successo: lo ha rituittato Susanna Camusso


(dove ho sbagliato?), ne ha parlato il sacro blog (ibidem), e mi ha perfino telefonato un corrispondente estero di testata seria per chiedermi dove avessi preso i dati.

La discussione svolta nei post successivi (qui e qui) ha chiarito che il grafico dal quale eravamo partiti, pubblicato dal Financial Times, come minimo aveva una didascalia sbagliata. La somma di forze di lavoro e lavoratori scoraggiati infatti non credo si chiami "working age population". Oddio, in un mondo in cui io mi chiamo Vittorio può succedere di tutto: ma dato che il problema di cui ci occupiamo qui è un problema serio, mi sembra giusto affrontarlo con serietà (ovvero, in modo non giornalistico). Procedo quindi a fornirvi nuovamente i link alle fonti originali dei dati, nonché il foglio dove ho replicato i calcoli tenendo conto delle giuste osservazioni di Andrea e di Giuseppe.

Allora: per replicare il grafico ci occorre:

1) la tabella con la popolazione attiva e i disoccupati [lfsa_pganws];
2) la tabella con la popolazione inattiva, classificata secondo la disponibilità a lavorare (ricordate? Gli "scoraggiati" sono inattivi che però desidererebbero lavorare) [lfsa_igaww];
3) la tabella con il numero di lavoratori part-time [lfsa_epgaed];
4) la tabella con la percentuale di lavoratori part-time che desidererebbero lavorare full-time (perché solo questi sono tecnicamente "sottoccupati") [lfsa_eppgai].

Dopo di che, si tratta di mettere i dati in fila. Io ho lo ho fatto così. Sotto a tutto trovate la mia stima dell'U6 per i paesi europei. Vedendo com'è fatta potrete individuare eventuali problemi.

Va premesso, naturalmente, che Stati Uniti e Unione Europea non applicano definizioni perfettamente sovrapponibili, e quindi questo indicatore non è perfettamente assimilabile all'U6 statunitense. Tuttavia questo dibattito sulle definizioni, che suppongo appassioni moltissimo gli statistici, potrebbe appassionare un economista se stessimo parlando di distinguere fra un tasso al 4.5% e uno al 5%. Siccome, però, purtroppo, siamo pressoché ovunque in doppia cifra, quand'anche queste stime fossero sbagliate di tre punti, significherebbe che in Italia invece del 33% avremmo il 36% o il 30%. Io la differenza non la vedo: la differenza, nella vita di tutti i giorni, la vedremo se e quando torneremo a singola cifra. Questo per dire che il rigore metodologico è sacro (e altrimenti non vi metterei in condizione di replicare e quindi criticare i miei calcoli), ma è sacro anche l'art. 1 della Costituzione, per il quale è stato versato più sangue.

Va anche sottolineato che la percentuale di disoccupati sulla forza lavoro potenziale (data dalla somma di forze di lavoro e scoraggiati) non è il tasso di disoccupazione. Ancora non sono riuscito a capire come abbia fatto il FT a costruire un grafico in cui questa percentuale sembra coincidere con il tasso di disoccupazione ufficiale (che al denominatore non ha gli scoraggiati). Ma vale l'osservazione di cui sopra: rigore è quando arbitro fischia, e rigore metodologico non è quando popolo ha fame.

Questo per chiarire quanto fatto finora.

Per portare avanti il discorso, vi favorisco una analisi preliminare di alcune vostre ipotesi circa il vero dato anomalo dei grafici visti finora: la percentuale del tutto fuori scala di scoraggiati in Italia. Sì, è vero, in Italia succedono cose scoraggianti (ne abbiamo parlato finora!), ma l'anomalia statistica è troppo rilevante, come vi ho fatto notare, e sarebbe utile poterla spiegare in qualche modo. Purtroppo nessuna delle spiegazioni che avete proposto (siamo troppo ricchi - e quindi possiamo permetterci di non cercare lavoro, c'è molto sommerso - e quindi lavoriamo ma non figuriamo nelle statistiche) quadra coi dati, almeno a una prima, sommaria analisi.

Qui vedete la correlazione della percentuale di scoraggiati con alcune variabili:


fra cui l'incidenza dell'economia sommersa (stimata da Schneider, massimo esperto mondiale, noto ai miei lettori; è la variabile SOMMERSO), la percentuale di disoccupati (calcolata nel foglio Excel), il rapporto fra ricchezza totale e ricchezza immobiliare delle famiglie sul loro reddito disponibile (che trovate qui). La percentuale di scoraggiati è correlata debolissimamente con tutte queste variabili.

Ovviamente si dovrebbe fare un'analisi più approfondita: per esempio, invece di considerare (come qui) una sezione di 11 paesi osservati in un singolo anno, si potrebbe analizzare un panel (11 paesi osservati per n anni), si potrebbero inserire altre variabili, ecc.

Ma la spiegazione "stiamo troppo bene, siamo troppo ricchi, siamo troppo disonesti..." e via dicendo non funziona benissimo: quando una cosa nei dati c'è si vede, e l'econometria serve soprattutto quando non c'è: fidatevi di una che ne ha fatta tanta, e pirreviùd tantissima...


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 N. 1193/2016 R. G.

Tribunale di Varese

- Sezione I Civile –

Il Giudice Unico dott. Roberta Sperati, a scioglimento della riserva che precede ha pronunciato la seguente

ORDINANZA EX ARTT. 702-BIS SEGG. C.P.C.

nella causa civile iscritta al numero di ruolo generale sopra riportato

TRA

MALAGUTTI VITTORIO, con il patrocinio dell’avv. MALAVENDA CATERINA e PAGANI MAURO (PGNMRA59H20L682A) VIA STAURENGHI, 28 21100 VARESE; , con elezione di domicilio in CORSO DI PORTA VITTORIA, 28 20122 MILANO, presso il difensore avv. MALAVENDA CATERINA

E

BAGNAI ALBERTO (C.F. BGNLRT62T10D612R ), con il patrocinio dell’avv. PASTA BRUNO e CAPRA DE CARRE DANIELE (CPRDNL60B07F205N) VIA PODGORA, 11 20122 MILANO; elettivamente domiciliato in Via Podgora, 11 20122 MILANO presso lo studio dell’avv. PASTA BRUNO

PQM

il Tribunale di Varese, prima sezione civile, in composizione monocratica nella persona della d.sa Roberta Sperati, ogni diversa domanda, eccezione e deduzione disattesa e definitivamente pronunziando nel contraddittorio delle parti:

1) condanna Bagnai Vittorio in qualità di autore dei tweet pubblicati sul suo account Twitter in data 25/04/2014 ad ore 21.04; in data 25/04/2014 ad ore 22.50; in data 27/04/2014 ad ore 07.52; in data 27/04/2014 ad ore 10.06 ed in qualità di autore “Delusa dall’euro :il goofygioco della settimana” pubblicato sul suo blog “ Goofynomics” data 28/07/2014 al risarcimento dei danni a favore di Malagutti Vittorio che si liquidano in € 5.000,00, all’attualità, oltre interessi di legge dalla data della sentenza al saldo effettivo;

2) dispone la pubblicazione della presente ordinanza , entro trenta giorni dalla comunicazione, per estratto ( intestazione e dispositivo) sul quotidiano “la Repubblica”, sul periodico “L’Espresso” e sul blog “Goofynomics”, in caratteri doppi rispetto ai normali, per una sola volta ed a spese di Bagnai Alberto, autorizzando in difetto Malagutti Vittorio a provvedervi direttamente con diritto a ripetere le relative spese;

3) condanna Bagnai Alberto al pagamento delle spese processuali in favore di Malagutti Vittorio che si liquidano in € 286,00 per spese esenti ed € 1.782,00 per compensi, oltre spese generali al 15% CPA ed IVA come per legge.

Ordinanza per legge esecutiva

Si comunichi. Varese, 24/07/2017
Il Giudice
Dott. Roberta Sperati

martedì 22 agosto 2017

Grazie

Carissime e carissimi,

(o, se preferite, c@r@ss@m@), rispondo (con un certo ritardo) alle vostre attestazioni di affetto e di sostegno, pubbliche e private. Sapevo di poter contare su di voi, ma nulla è scontato, e ogni vostra singola parola mi è stata di grande conforto. Prima di girare pagina, e dopo avervi ringraziato, vorrei aiutare tutti (in particolare Alberto49, che è molto passionale) a mettere le cose nel giusto contesto.

Partirei, come sempre, dai dati: il dato, ad oggi, è che io ho fatto un errore (lo dice la dott.ssa Sperati) e ho pagato (lo dice il mio estratto conto). Fine della storia: non darei a questo episodio un peso eccessivo. Siamo tutti d'accordo che le circostanze nelle quali si è verificato e le modalità con cui si è svolto sono un po' "peculiari" (gli addetti ai lavori se ne rendono conto meglio degli altri), ma non porrei un'indebita enfasi su questi aspetti. Ci sarà tempo e modo di porli in prospettiva, e io so aspettare: la vita mi ha sorpreso tante volte...

Mi ha fatto enorme piacere vedere che "occhi silenti" di questo blog hanno sentito in questa occasione il bisogno di manifestarsi con nome e cognome. Mi hanno dato il senso di una comunità che cresce, che è radicata in tutti gli strati della nostra società, che sa unirsi in una comune battaglia nonostante le divergenze ideologiche che spesso ci portano a discutere fra noi. È importante che passi il messaggio che siamo una comunità forte e solidale, perché questo è educativo per i nostri avversari, ma d'altra parte non vorrei che passasse il messaggio che voi dovete pagare per i miei errori, perché questo sarebbe diseducativo per me (mi creerebbe un problema di moral hazard) e sarebbe strumentalizzabile da parte dei soliti tre o quattro amici.

Il fatto è che le cose non stanno così: per i miei errori pago io (e i conti comunque si fanno alla fine).

Intendiamoci: io mi rendo perfettamente conto del significato dell'episodio, e so che voi condividete con me questa consapevolezza, e quindi avete un bisogno profondo e incontenibile di fare "qualcosa". I trend che avevamo analizzato in questo post ci dicono, se l'analisi delle serie storiche è una scienza (e lo è) che nel nostro caso il miglior "qualcosa" è: niente. Basterà aspettare. I media che ci hanno ostracizzato e messo in burletta si stanno autoestinguendo. Non mi sembra elegante commentare la loro agonia e non mi sembra segno di magnanimità infierire (anche se qualche volta confesso di averlo fatto anch'io, come ricorderete).

Tuttavia il dato è lì, e non possiamo non constatarlo, serenamente (noi).

Peraltro il nostro messaggio ormai è diventato mainstream: sulla critica al processo di integrazione europea ci hanno dovuto inseguire tutti, tranne quei pochi (per lo più non italiani) che ci avevano preceduto. Oggi sono pochi (e del tutto trascurabili) quelli che si azzarderebbero a parlare di noi in certi termini. Questo è dovuto non solo alla mia testardaggine, ma anche al vostro sostegno ad a/simmetrie. Senza questo sostegno non mi sarebbe stato possibile né gestire la mia agenda di impegni sui media, né portare a termine progetti di ricerca come questo (scritto per smontare la bufala giornalistica che in caso di uscita dall'euro il prezzo della benzina sarebbe aumentato di sette volte) o questo (scritto per smontare la bufala giornalistica che non sappiamo cosa accadrà ma sarà una catastrofe). C'è ancora molto da fare sia in termini di ricerca che, soprattutto, di divulgazione. In effetti, è strano che centri studi (?) che si sono esibiti in previsioni simili:


(vi ricordo sempre il commento di Massimiliano Tancioni) siano riconosciuti come interlocutori nel dibattito e come fonti autorevoli di analisi, laddove noi, che ne abbiamo sbagliate poche, siamo ancora largamente sconosciuti al grande pubblico (giornalisti compresi). Su questo c'è da lavorare, e a questo lavoro verranno destinate le risorse che in questa occasione avete ritenuto di volermi conferire (vi ricordo anche che noi siamo piuttosto trasparenti: quando cerco informazioni simili sui siti altrui faccio spesso una grande fatica. Voi no?).

Vorrei fosse chiaro, non tanto a voi, quanto a qualche cucciolotto sperduto in cerca di attenzioni sul web, che lo scopo di a/simmetrie è definito chiaramente dal suo statuto e non è quello di farmi da parafulmine! Già nel 2014, sotto la gragnuola di insulti che ci pioveva addosso da tutte le parti (molti di voi lo hanno ricordato) alcuni di voi mandarono contributi con causale "processi ai troll" (o simili). Quei contributi non confluirono nel conto "dedicato" o "di scopo" che alcuni di voi auspicavano ed auspicano, semplicemente perché questo non sarebbe stato ammissibile né eticamente né tecnicamente. Nello statuto non leggo "difendere i membri del direttivo dai troll"! Insomma: non solo voi, ma nemmeno a/simmetrie deve né può pagare per questi incidenti. Abbiamo speso quei soldi molto meglio, dotandoci di software econometrici, cofinanziando assegni di ricerca, gestendo il sito, ecc., e abbiamo neutralizzato i troll molto meglio: ignorandoli e bloccandoli preventivamente (cosa che voi proprio non riuscite a fare: la coprofilia è una malattia per la quale non esiste vaccino...).

Qualcuno ha parlato di attivare una polizza di copertura da certi rischi professionali. Questa proposta potrebbe anche avere un senso, e in alcune associazioni forme simili sono previste, ma ci sono due "ma". Il primo è che avrebbe un senso coprire dai rischi connessi all'espressione del proprio pensiero chi riveste cariche direttive nell'associazione solo nella misura in cui questa espressione avvenisse in diretta connessione con l'attività sociale. Non sono l'unico membro del direttivo a venire attaccato (noterete che in questo caso si è scomodato addirittura il viceministro della verità in persona), ma questi attacchi, quasi sempre, sono ad personam. In un unico caso è stata coinvolta l'associazione, definita come una setta che truffava i suoi accoliti (voi), e in quel caso l'associazione interverrà. Ma per il resto credo debba restarne fuori. Il secondo "ma" è meno formale e più sostanziale: attivare una polizza significa spendere un sacco di soldi per coprirci da un rischio che in passato è stato elevato, ma che ormai è trascurabile. I propagandisti sanno che nel tempo di Internet tutto resta, e credo intuiscano che un cambio di regime non è improbabile. Chi glielo fa fare di schierarsi in modo così esplicito per un sistema che, oltre a danneggiare il nostro paese (che poi sarebbe anche il loro), è anche intrinsecamente fragile e può andare a gambe all'aria da un momento all'altro? Piuttosto che coprirmi da un evento così raro preferisco assumere un ricercatore.

La nostra migliore assicurazione contro il rischio è la verità tecnica. A mano a mano che questa si manifesta, sono gli altri a non voler correre rischi (mi riferisco a quelli intelligenti, naturalmente, perché di fessi ce n'è sempre - e se sono ricchi segnalatemeli)!

Quindi credo che, nonostante io abbia apprezzato le vostre proposte, intendendole come segno di affetto e come determinazione di evitare che la vostra voce venga messa a tacere, polizze, o conti "dedicati", oggi abbiano poco senso. Due cose sono fondamentali per minimizzare il rischio: far capire che siamo tanti, e disposti a impegnarci in prima persona, e contribuire ad a/simmetrie.

La solidarietà che mi avete mostrato non è cosa comune, e presto avremo modo di apprezzare se essa è così diffusa nello schieramento avverso. Quando sarà chiaro che non lo è, sarà anche chiaro lo scarto di umanità che ci separa da chi ci combatte: uno scarto che non deve essere solo motivo di giusto orgoglio, quanto, soprattutto, di maggior senso di responsabilità (a partire, naturalmente, da me). Questa percezione renderà più guardinghi i nostri avversari, come pure, lo ripeto, li renderà più rispettosi l'affermazione di a/simmetrie come voce autorevole nel dibattito economico e politico.

Roberta dice che io non guardo il bicchiere mezzo vuoto: guardo direttamente i cocci. Può darsi. D'altra parte, si sa, un pessimista è un ottimista che legge Goofynomics. Ma in questo caso, grazie a voi, sono riuscito a vedere il bicchiere mezzo pieno. Ora guardiamo avanti, che da fare ce n'è...

sabato 19 agosto 2017

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Qualche tempo fa volevo invitare a cena un mio amico giornalista. Mi rispose: “No, scusa, non riesco a fare in tempo, devo andare in Tribunale fuori Roma”. E io: “Ma che hai combinato?” E lui: “Ma, non lo so, so solo che è penale quindi devo andare io, e fra l’altro la cosa è strana, perché quando vogliono intimidirti non vanno sul penale, ma sul civile, dove possono chiederti un sacco di soldi”.

La sua frase mi è tornata in mente nell’accingermi a scrivere l’aneddoto che voglio raccontarvi oggi. Vi ricordate questo articolo? Era uscito in edizione cartacea il 30 aprile 2014 (direttore Bruno Manfellotto), con un diverso titolo: “E Bagnai per profeta...” e un diverso occhiello: “In TV è boom di guru contro l’euro. Tra cattedre dubbie, società private e appetiti politici. Ecco chi sono davvero”. In un mondo nel quale si va di fretta, vi lascio immaginare cosa possa aver pensato chi, senza lasciarsi sedurre dalla prosa dell’autore, si sia limitato – come comunemente avviene – a leggere titolo e occhiello! L’intento dell’articolo non devo giudicarlo io: venne inquadrato da alcuni colleghi dell’autore, gli estensori della rassegna stampa del portale Libero, che lo riportarono nella sezione gossip (in italiano potremmo dire: “cronaca rosa”):


(nel frattempo la pagina è stata rasata dalla cache di Google...).


In effetti, a parte lo scoop sul lavoro della moglie di Claudio (che non è esattamente un segreto: ci fa una trasmissione televisiva), e l’apprezzamento (che condivido) per l’eleganza di Francesca Donato, non è che, tolto il titolo, nell’articolo ci fosse molto di più. L’unico argomento di natura economica che mi sia stato dato rilevarvi (e vi assicuro che l’ho letto con molta attenzione, per motivi che passo subito a spiegarvi) era che “tornare alla lira porterebbe iperinflazione”. Perché? Perché lo dicono “i professori delle grandi università”.


Oddio, in quest’ultima asserzione c’è del vero, come purtroppo sapete, e quindi il preconcetto dell’autore sarebbe stato in qualche misura scusabile: quante volte abbiamo sentito ordinari di economia (per lo più senza esperienza di ricerca in economia internazionale) dire che una svalutazione della nuova valuta nazionale avrebbe causato inflazione? Tuttavia, qualche problemuccio c’è. Intanto, questa è una evidente fallacia ad auctoritatem: giudicare un argomento dalla (pretesa) importanza di chi lo propone. Una persona di cultura non dovrebbe cascarci, ma il mondo è un po’ più complicato di così. Un mio altro amico giornalista, un giorno, mi disse: “Faccio un lavoro tremendo: devo scrivere ogni giorno con scadenze strettissime di cose di cui non capisco nulla e sulle quali non ho tempo per informarmi, e devo farlo mantenendo il rispetto per me stesso!” (lui si occupava di rapporti USA-Europa per un quotidiano che ci ha dato altre soddisfazioni). Nella loro amara autoironia, che è sempre un marker di grande onestà intellettuale, queste parole mettevano in luce i limiti di una professione: non quella giornalistica, quella economica! Il giornalista, anche quando sa che non sarebbe il caso, è comunque costretto a rifarsi all’auctoritas di quelli che il grande circo mediatico gli propone come sapienti. E, naturalmente, il suo percorso culturale, che non è quello di un ricercatore, gli preclude una visuale completa del problema. Se ce l’avesse, potrebbe, in un caso come questo, constatare come, nonostante i professori delle “grandi università” italiane (più alcuni studenti di master a Chicago) diffondano la fake news che “svalutazione uguale iperinflazione”, i professori delle grandissime università americane hanno messo su questa scemenza una bella pietra tombale già parecchio tempo fa, chiarendo che le grandi svalutazioni non sono seguite da grandi inflazioni (e spiegando perché). Vorrei rassicurare gli eventuali giornalisti: Eichenbaum e Rebelo sono alla Northwestern (28° università al mondo), Burstein all’UCLA (che è solo 33°). L’università più prestigiosa in Italia è l’Alma Mater, che però a livello mondiale è solo 188° (oggi è facile documentarsi). Ripeto: un giornalista, quand’anche fosse specializzato in macroeconomia (e bisognerebbe vedere cosa lo accrediti come tale), non è tenuto a capire il diverso peso scientifico di un Eichenbaum (62° economista al mondo per rilevanza della produzione scientifica) o di un quidam de populo consigliere del principotto italiano di turno. Anzi: non è tenuto nemmeno a sapere che Eichenbaum esista!

Forse, però, due cose potremmo chiedergliele, a un giornalista, soprattutto quando, come nel caso in questione, ha dato prova, con inchieste coraggiose, di individuare bene e di mettere in luce certi conflitti di interesse e le loro conseguenze nefaste sul tessuto microeconomico di un paese. La prima sarebbe quella di capire che certe reti accademico-mediatiche rispondono, in modo del tutto trasparente, a certi interessi economici. Su quello che certi economisti dicono va quindi fatta una ovvia tara. E invece no: qui si continua a chiedere a Draghi se l’euro è buono! La seconda sarebbe quella di guardare i dati (ma qui già so di chiedere troppo): Burstein, Eichenbaum e Rebelo non sono giunti per insufflazione divina all’intuizione che la svalutazione non causa iperinflazione. Questa volta l’arcangelo Gabriele è rimasto a casa: loro hanno semplicemente guardato i dati, e quelli italiani nel dibattito comunque c’erano, perché ce li avevo portati io qui, come ricorderete.

Il sagace lettore indottrinato, improvvisandosi epistemologo, scoprirà lo Hume che è in lui per dire: “Ma il fatto che una cosa non si sia verificata in passato non significa che non possa verificarsi in futuro!” Una frase, questa, il cui significato regolarmente sfugge a chi la pronuncia, e che comunque non si applica al nostro caso! Infatti, come ricorderete, e come vi ho ricordato spesso, pochi giorni dopo l’articolo di cui vi sto parlando io intervenni sul Fatto Quotidiano per chiarire, more geometrico, che l’euro si sarebbe necessariamente dovuto svalutare: immediatamente dopo l’euro perse il 30%, e questo senza che io telefonassi a Draghi (di cui non ho il numero: ho quello di Monti ma non lo uso mai).

Seguì... “Iperinflazione!” (direte voi): no: deflazione, tant’è che fra una settimana Draghi andrà a Jackson Hole con la coda fra le gambe a dire, con ogni probabilità, che il tapering (la fine del QE) può attendere.

Insomma: né la logica, né la ricerca scientifica di università prestigiose e prive di conflitto di interessi, né i dati passati, né i dati futuri davano ragione all’unico argomento economico dell’articolo, nonostante l’avviso di non meglio specificati “professori di grandi università...”

Cosa restava?

Restava (lo dico serenamente) il gossip, e come tale l’articolo venne interpretato. Nel dibattito nessuno lo citò (sono pronto a scusarmi in caso di smentita), anche perché l’argomento svalutazione = inflazione oltre a essere sbagliato, non era nemmeno originale ed era stato già esposto altrove, mentre sui social una sequela interminabile di persone rilanciarono il titolo dell’articolo, forti, a loro volta, dell’auctoritas della testata, e questo fino all'anno scorso (poi mi sono stancato di controllare):



Essere perfetti, su questa Terra, non paga. Ci è riuscito uno solo e, per non sbagliare, lo hanno crocefisso (vero è che lui aveva un piano B – e questa è l’unica cosa che abbiamo in comune, oltre a una certa antipatia per la finanza predatoria – ma questo è un altro discorso).

Voglio quindi rassicurarvi: non sono perfetto.

Alla fine, in sette anni di dibattito, un errore l’ho fatto anch’io, ed esattamente il tipo di errore che mi somiglia di meno: non ho dato retta a chi ne sa più di me. Quando l’articolo uscì, e prima ancora che io lo leggessi (L’Espresso non è in testa alle mie priorità, e in questo credo di essere piuttosto conformista), un magistrato mio amico mi chiamò per dirmi di sporgere querela. Io non lo feci, e questo fu il primo pezzo dell’errore. Il secondo, altrettanto grave, fu di mettere in evidenza su Twitter che l’autore mancava di competenze macroeconomiche specifiche nel tema che stava affrontando (tre anni dopo credo che i fatti mi abbiano dato ragione...), e aveva fatto accostamenti, diciamo così, fastidiosi (“cattedre dubbie”? In un articolo in cui io ero l’unico docente di ruolo citato?...).

Fatto sta che l’autore dell’articolo si è sentito a sua volta offeso per le mie puntualizzazioni. “Ti avrà querelato!” direte voi. No. Non siamo nel penale, tranquilli! È solo questione di soldi. Questo, fra l’altro, per un semplice motivo tecnico: forse non tutti sanno che la Cassazione Penale, a differenza di quella Civile, in casi come questo ammette la scriminante della provocazione. A prescindere da quanto mi diceva il mio amico giornalista che non poteva venire a cena, in un caso come questo, sporgendo querela, la controparte avrebbe rischiato l’archiviazione, e comunque io avrei potuto resistere in giudizio sulla base del dato di fatto che non ero stato io ad andare a cercare lui, ma lui a venire a cercare me. E perché correre questa alea? Meglio aspettare un po’, e chiedere un sacco di soldi...

Insomma, fatto sta che il 3 agosto 2015, quando era presumibile che l’ateneo dove lavoro sarebbe stato chiuso, i miei legali in vacanza, ecc., mi veniva recapitata in dipartimento un’istanza di mediazione per la somma di 20.000 euro, della quale, per una serie di disguidi, sarei venuto a conoscenza solo più di un mese dopo (non potendo quindi accedere ad essa quand'anche avessi ritenuto di farlo). A questo punto la controparte mi ha citato in giudizio per 40.000 euro di danni (più le spese legali e la pubblicazione della sentenza). Inutile dire che lì per lì la cosa mi ha alquanto preoccupato. Non che quei soldi non ce li avessi, solo che, anche se un giudice avesse ritenuto giusto che io li spendessi così, ovviamente io avrei preferito spenderli in altro modo! Vi risparmio tutte le altre considerazioni: diciamo che mentre riflettevo su quale strada percorrere (decisione complessa, anche per una serie di relazioni personali con cui non vi annoio), ho perso due chili (cosa della quale non posso che essere grato alla controparte: poi li ho ripresi, e ora ne ho persi – meglio – cinque).

Da questa esperienza ho capito molte cose: la prima, è quale fortuna sia stata incontrare una donna come Roberta. Poi, naturalmente, ho capito quanto sia importante vivere un giorno alla volta, quanto siate importanti (e utili) voi per me, e quanto sia importante sorvegliare l’alimentazione e fare sport con regolarità. Fra l’altro, per dirla proprio tutta, di tutte le preoccupazioni che il 2016 ha portato con sé, la peggiore non era questa: l’adolescenza der Palla era su un ordine di grandezza incommensurabilmente superiore (poi c’era l’abilitazione da ordinario, ecc.: diciamo che nel 2016 ho avuto l’imbarazzo della scelta).

Com’è andata a finire? L'abilitazione l'ho avuta (a molti dispiace più di quanto io ne sia lieto, il che mi permette di esserne doppiamente lieto), er Palla si sta tranquillizzando (e questa è la cosa veramente importante)... e il processo?

Al processo ho fatto domanda riconvenzionale, ma la dott.ssa Sperati del Tribunale di Varese ha ritenuto che io non avessi motivo per ritenermi leso dall’articolo in questione, mentre ha ritenuto che io, nell’esporre i miei rilievi, avessi violato il principio di continenza. Sono quindi stato condannato, ma, tant’è vero che siamo in deflazione, i 40.000 sono diventati 5.000 (invece dei 52.000 che forse a Chicago qualcuno si aspettava, dopo la svalutazione del 30%)! La punizione più severa sotto il profilo morale però è senz’altro stata quella di finanziare Repubblica e l’Espresso pubblicandoci la sentenza, che dovrà apparire domani, come mi hanno confermato i cortesissimi dipendenti dalla A. Manzoni & C. (la concessionaria della pubblicità). Ci dev’essere una stagionalità perversa, anticiclica rispetto a quella del Pil, che crea un picco di rogne legali in agosto! Mi è toccato disturbarli mentre stavano chiudendo l’ufficio, ma l’hanno presa con grande professionalità, del che li ringrazio.

Il rapporto che ci lega mi imponeva di informarvi in anticipo, dandovi alcuni elementi per valutare la vicenda, nella quale, evidentemente, non pretendo (né sta a me giudicare) di aver avuto ragione. Se una sentenza mi condanna un motivo ci sarà. Avrei voluto darvi solo un buon esempio, quello del coraggio. Mi è toccato darvene anche uno cattivo, ma vedo il bicchiere mezzo pieno: forse questo esempio da non seguire potrà essere per voi altrettanto e più istruttivo di quello da seguire.

Ora, voi sapete che io amo il mio paese, e la prima forma di amore è il rispetto: nel caso di un paese, il rispetto per le sue istituzioni.

Non solo quindi non commento la sentenza, alla quale mi sono immediatamente conformato bonificando la controparte, ma vi ingiungo di non farlo nemmeno voi. Non c’è nulla da commentare. Ovviamente, il rispetto per le istituzioni comprende anche l’avvalersi di tutte le tutele che queste contemplano. La sentenza stabilisce che la controparte aveva ragione di sentirsi offesa, e da questa sentenza io, come tutti voi, ho solo da imparare. Resta il problema che mi sono sentito offeso anch’io, e quindi andrò in appello. Non ho fretta. Sono curioso di vedere cosa disporrà la corte di appello di Milano fra due o tre anni, quando, come sapete, il nostro vero organo di governo, la Bce, sarà andata in mano tedesca, e quindi qui non ce ne sarà più per nessuno (cioè nessuno, checché ne pensi il mio amico giornalista – quello cui devo una cena...).

Poi, naturalmente, c’è un altro problema, che però non è né mio né vostro.


Per anni ho sopportato un profluvio di insulti di ogni tipo, che voi ricordate e sapete valutare correttamente, ma che molti, capitati magari qui per caso, non ricordano. A questi ultimi magari è opportuno offrirli, come elementi di valutazione del clima nel quale l'episodio si svolse: è stata messa in dubbio la mia competenza scientifica, mi è stato detto che pubblicavo su riviste senza peer review (come questa?),  mi è stato detto che non avevo pubblicazioni specifiche sui temi di cui parlavo (come questa?), sono stato dipinto come un ciarlatano che falsificava i dati (meno male che loro non se ne sono accorti!), e mi sono anche preso del coglione, dell’imbecille, del "professorino fallito di serie C", dell’economista da bettola, ho ricevuto minacce (“uomo avvisato mezzo salvato”), ecc. Non vi annoio riportando i vari screenshot perché, come ho avuto modo di constatare lungo questa vicenda, i vostri hard disk contengono terabyte di insulti a mio riguardo (voi ne sapete più di me), limitandomi a ricordare che in alcuni casi questi gentili appellativi venivano motivati dai risultati dell’inchiesta giornalistica de cujus:



(mi affretto ad aggiungere che l’autore ovviamente non ha alcuna colpa delle esternazioni di questi simpatici maitre à penser, cui ricordo che "la gente" nel mio caso sarebbero il Financial Times, la CNN, Bloomberg, Il Sole 24 Ore, MediasetTgCom24, La7, ecc., senza contare editor e referee di riviste scientifiche - delle quali non gli parlo perché a occhio non credo sia del mestiere: magari si convincessero che sono un cialtrone! Avrei molti meno referaggi da fare...).

Per anni non ho reagito.

Pochi giorni fa la terza carica dello Stato ha detto che non tollererà più insulti. Diciamo che in questo mi sono permesso di precederla: la mia linea del Piave sono stati i famosi 20.000 di cui vi parlavo qua sopra: da quel momento non ho tollerato insulti nemmeno io, e la prima causa andrà presto a processo.


Altre ne seguiranno.


Vorrei, insomma, rassicurarvi: per evitare di essere crocefisso, io non ho alcuna intenzione di porgere l’altra guancia. All’amico di amici, poi, ricordo con rispetto un grande classico della nostra cinematografia: “Io non mi intimido, e sto qua”.


Sto qua con voi, che ringrazio ed esorto alla pratica delle quattro virtù cardinali, sottolineando che siamo sempre meno soli.

A chi, per i motivi strutturali sopra esposti, deve rifarsi all’auctoritas degli economisti bravi (ma solo di quelli italiani), ricordo infatti che anche questi ultimi hanno cambiato orientamento. Basta citare Perotti, che su Repubblica e su lavoce.info ha riconosciuto la validità di molti argomenti messi spregiudicatamente in burletta dalla stampa cosiddetta mainstream, e l’inopportunità di rifarsi all’auctoritas in ambito scientifico, o Zingales, che è giunto alle conclusioni da cui noi siamo partiti: l’euro è un nonsenso economico, il suo significato è esclusivamente politico, per cui l’unica speranza che sopravviva è legata alla lungimiranza della Germania, della quale (aggiungo io) il secolo scorso ci ha dato tante prove. Continuo quindi a sostenere che le linee editoriali di tutti i media italiani cambieranno, e in questo non c’è nulla di insultante: è una semplice constatazione, ed è un fenomeno al quale stiamo assistendo giorno dopo giorno, sia in questo, che in altri dibattiti (avete presente quel canale di Sicilia che nel breve volgere di un giorno si è spostato di alcuni gradi ad est diventando “acque territoriali libiche”? E questo perché? Perché una persona ha avuto coraggio! La fede sposta le montagne e il coraggio sposta i mari...). Lo abbiamo osservato in passato (quanti giornalisti oggi euristi negli anni ’90 si rallegravano per la svalutazione della lira che "faceva volare l’economia?"), lo osserveremo in futuro senza particolare stupore né acredine. Non è un caso se il potere si difende propugnando il diritto all’oblio digitale. Una cosa che certo ha senso, ma che è anche (e forse soprattutto) strumentale a far sì che chi ha difeso a spada tratta e con ogni mezzo un certo progetto, possa sottrarsi alle sue responsabilità (mi riferisco a quelle politiche e deontologiche) dopo l’inevitabile fallimento.

Certo, questo sarà un po’ più difficile in alcuni casi.

Quando questa vicenda, frutto di un clima politico avvelenato dalla campagna elettorale, sarà finita, spero che potremo vederci per parlarne serenamente. Ma, per questo, ci vorrà ancora un po’ di tempo, anche perché sta per iniziare una nuova campagna elettorale, e nulla ci dice che sarà vissuta con uno spirito di maggiore responsabilità.

Io, nel frattempo, vado avanti.

So di avere la vostra solidarietà, e vi segnalo che il modo migliore per esprimerla è gioire anche voi della puerile gioia delle poche decine di troll che infestano i social, senza rispondere alle loro inevitabili provocazioni (sono persone sole, hanno bisogno di attenzione, ma non credo dobbiate proprio prestargliela voi...), non commentare la sentenza né infastidire la controparte, e soprattutto votare questo sito come miglior sito politico-d’opinione ai Macchia Nera Award 2017.